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Notations: Parallelsacht.: ¬Das¬ Individuum und die gemeinschaftlichen Beziehungen im Europa an der Schwelle des dritten Jahrtausends Beitr. teilw. ital., teilw. dt. mit jeweils dt. oder ital. Zsfassung.

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le stesse diversità cul- turali. E questo non quali uomini in astratto ma quali soggetti portatori di un vissuto in cui la percezione di un comune destino diviene fattore di incontro e di rieonoscimento. La possibilità di una comunicazione uni- versale viene con ció a dipendere dalle «pratiche interazionistiche dell’incontro tra persone piu che traforme culturali diff'erenti» i3l) . Da questa giusta osservazione Franco Crespi trae la conclusione che «una riformulazione culturale dei problemi della

solidarietà sociale sembra oggi poter essere attuata non nella riscoperta in positivo di verità assolu- te, corne vorrebbe il fondamentalismo, bensi nella consapevolezza in negativo della comune situazione di non sapere che caratterizza la no- stra situazione esistenziale come tale. L’attenzione all’esistenza, come situazione comune caratterizzata dalle dimensioni affettive, dal deside- rio, dall’angoscia e dalle gioie, dalla consapevolezza della morte, ma anche come condizione comune di non sapere

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Law, Politics , Social sciences

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1997

Page 427 of 668

Author: Akademie Deutsch-Italienischer Studien (Meran) ; Internationale Tagung Deutsch-Italienischer Studien <23, 1996, Meran> / Accademia di Studi Italo-Tedeschi - Merano

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specie di residuo comune, una specie di legge non scritta comune, nel punto di convergenza pratica delle ideologie teoriche e delle tradizioni spirituali piü diverse» (II contadino della Garonna, trad, it., Brescia 1969, p. 105). Maritain è ben consapevole delle grandi difficoltà cui il suo programma va incontro fino a quando «i cristiani avranno a che fare non soltanto con una civiltà religiosamente e filosoficamente divisa, ma da un lato con forze storiche violentemente erette contro

, ma di indicare i modi operativi con cui si riesce a tradurre in pratica gli orientamenti, le soluzioni, le stesse incertezze problemati- che emerse in sede teorica. Vi è una situazione di fatto da cui occorre partire, ossia la presenza oggi in Europa, di varie aree culturali e di di- versi modelli di società cui si ispirano le forze politiche che a quelle aree si riconnettono. Vi è un alto dato di fatto, ossia che le varie forze in competitivo confronto sembrano convergere in un minimo comune de- nominatore

pluralismo è il dialogo: la discussione sui punti di maggiore diversità e la ricerca di ambiti ove rorientamento comune permetta una maggiore comprensione reciproca in merito a ciò che divide. II dialogo non è un cedimento, né un compro- messo, è una presentazione di posizioni e un approfondimento di esse alla ricerca di una convergenza che solo a determinate profondità di in- dagine puó rendere chiare le sue componenti. Una seconda figura del progetto pluralistico è il confronto. Anche il dialogo di per

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1997

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Author: Akademie Deutsch-Italienischer Studien (Meran) ; Internationale Tagung Deutsch-Italienischer Studien <23, 1996, Meran> / Accademia di Studi Italo-Tedeschi - Merano

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che va disciplinato lo Stato e quindi è necessario riconoscere e regolare, con precise norme istituzionali, la libertà della varie famiglie spirituali esi- stenti di fatto nell’ambito della città. Ció non discende da un liberali- smo teologico, ma dalla considerazione del male minore e quindi del maggior bene possibile in situazione di fatto. L’unità della città plurali- stica, non puó nemmeno reggersi sui surrogati della fede, cioé su di un comune denominatore filosofico, come tentarono vari

pensatori da Leib- niz a Comte. La discussione speculativa lacererebbe allo stesso modo che le fedi religiose; l’autentico fondamento di una unità minimale è Vunità di amicizia che presuppone, come suo principio formale, un prin- cipio morale che guidi al bene comune. Se questa «forma» sarà cristia- na, avremo una città temporale cristianamente orientata, ma sempre se- condo un «modo profano». Alla saggezza politica ed alla testimonianza religiosa dei cristiani è affidata la possibilità di realizzazione

di questa formalità cristiana della città temporale e pluralistica. Lontana dallo sta- to etico, di origine hegeliana e di prassi totalitaria, quanto dalla indiffe- renza dello stato liberale, la città pluralistica tendenzialmente cristiana, si esprime in leggi che assolvono l’ufficio di «pedagogo della libertà», che operano cioé una promozione umana, a volte attraverso una dovero- sa costrizione, secondo la gerarchia etica derivante dal riconoscimento di un bene comune. Analoghi concetti vengono svolti

da Maritain nel già citato discorso a Città del Messico, quale capo della delegazione francese all’U.N.E.S.C.O.: La possibilità di cooperazione in un mondo diviso (1 novembre 1947). II «paradossale compito dell’Unesco», cioé «la col- laborazione in un mondo diviso» va adempiuto «non in base ad un pen- siero speculativo, ma in base ad un pensiero pratico comune». Si tratta di fare riferimento a «principi di azione fondamentale oggi, allo stato vitale se non a quello espresso, implicitamente riconosciuti

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1997

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- ralismo reale che concerne la convivenza concreta, su un territorio comune, di uomini di diversa provenienza nazionale. Questa riduzione peró non significa che il pensiero pluralistico sia senza conseguenze e non abbia alcun influsso sulla convivenza concreta nelle società plurali- stiche. A1 contrario, esso costituisce un momento essenziale di ció che fin dai tempi antichi si dice senso comune («Gemeinsinn») che proprio per le società pluralistiche rappresenta una condizione necessaria per la loro

- lich»), liberale («liberal») e pubblico («öffentlich»). Questi diversi tipi di pluralismo possono essere riuniti nel concetto di senso comune («Ge- meinsinn»), concetto spiegato nel § 40 della «Critica del giudizio». Dal citato passo di riferimento risulta che il modo di pensare pluralistico oppure anche liberale non significa né un’accettazione indifferente di tutto e tutti né è spinto da pura curiosità nei confronti del diverso e dell’estraneo; esso cerca piuttosto l’opinione degli altri come

correttivo dei propri giudizi, come criterio di verità esterno («àufíeres Wahrheits- kriterium»). II pluralismo per amor di verità si rivela in tal modo come motivo interiore del senso comune. 546

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comune del valore dell’essere umano, cioé della persona. Questo valore è comune a tutti, a qualunque razza si appartenga, qualunque sia il colo- re della pelle, e qualunque sia la concezione della vita. Occorre educare al concetto di pari dignità ontologica di ogni persona umana. La prima e fondamentale nota, comune a tutti, è il valore della persona. Oceorre educare a guardare all’ «altro» in quanto uomo, riconoscendogli la me- desima dignità che riconosciamo a noi. Se noi non mettiamo alla

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richiesta di naturalizzazione. Questa situazione appare paradossale, visto che, in effetti, la Repubblica Federale Tedesca ha, tra i piu grandi stati europei, la piú alta percentuale di stranieri e la piú consistente immigrazione assoluta. Nonostante tutte le differenze, nell’ambito dell’ Unione Europea appare necessaria una politica di emigrazione comune, tanto piú che i problemi fondamentali sono simili per tutti i piú grandi paesi d’immigrazione. Siccome in seguito allo sviluppo delFintegrazione

, e cioé quello di patriottismo costituzionale che è la risultante della particolare situazione dei due stati tedeschi. La mia domanda: non è pensabile (forse auspicabile) che esista un comune sentimento europeo, una comune coscienza europea che in un certo qual modo corrisponda al patriottismo costituzionale in Germania, comunque nella vecchia Repubblica federale ? Analoghe costituzioni sulla base di valori e diritti fondamentali analoghi, in diversi paesi potrebbero 357

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integri con amore tutti gli altri; non con la politica dei capi di Stato; quella avrà un valore per i limiti esteriori» (26) . NOTE 1) J. DERRIDA, in Penser l’Europe à ses frontiéres, éd. de TAube, Paris 1993, cit. da A. J. VIEGAS de VASCONCELOS, Un progetto comune nelprisma delle diversità, «Coscienza», 48/2(1996), pp. 10-12. 2) Ibid., p. 11; tesi di Blandine KRIEGEL (cfr. Le Monde, 1994.05.05). 3) Per il contesto storico, si veda Europa/1 (Supplemento alla rivista «il Mulino»), Bologna 1994

. 13) P. BLICKLE, La Riforma contadina e i suoi presupposti bassomedioevali, in Thomas Miint- zere la rivoluzione dell’uomo comune, a cura di T. LaRocca, Claudiana, Torino 1990, pp. 17- 29; H. von RÜTTE, Gemeindekirche vor der Reformation. Institutionelle Formen bciuerli- chen Frömmigkeit, Bern 1991; si veda anche H.R. SCHMIDT, Die Haretisierung des Zwin- glianismus im Reich seit 1525, in P. BLICKLE (hg), Zugange zur bduerlichen Reformation (Bauer und Reformation, vol. I), Zürich 1987, pp. 219-235: 230

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, ovvero radicalmente «esposto»: «Essere-a-se è essere-all’-esposizione. E’ essere-ad-altrui, se ”altrui” declina insomma ”in sé e per sé” la de- clinazione di sé. Tutta l’ontologia si riduce a questo essere-a-sé-ad-al- trui. In esso l’essenza non è che, transitivamente, l’esposizione della sua sussistenza ... E’ ciò che si trascriverà dicendo: non c’é la comunione, non c’è essere comune, c’é essere in comune. Tutta l’ontologia, dal mo- 526

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un ideale insieme sublime e ragionevole per poter costituire davvero una società nuova (anzi una «nuova cristianità», secondo Jacques Mari- tain). Lo stesso Jefferson l’aveva sognata (appunto quella nuova società) libera e giusta e, inoltre, progressivamente felice ossia con il proposito di conseguire il bene comune (pursuit of happiness) nel piú generoso spirito di solidarietà cristiana e umana, poiché «...man was created for social intercourse; but social intercourse cannot be maintained

without a sense of justice; then man must be created with a sense of justice» (5) . Ma, non senza fondati motivi di delusione, Italo Calvino nel 1962, dopo un lungo viaggio negli Stati Uniti, aveva riscontrato e avvertito: «La civiltà industriale, lussureggiante come una giungla, tende ad inglo- bare tutto e a far crescere tutto con il suo ritmo, anche i fermenti di ribellione» (6) . D’altra parte, Maritain fin dal 1936 (Humanisme intégral e poi, nel 1946, La persona e il hene comune {1) ), prevedendo

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mento che è questa logica dell’essere in sé come essere a sé, si riduce cosi airin-comune deira-sé» (26) . In altri termini, secondo Nancy non si dà un «soggetto» che entra in relazione con altri, bensi una singolarità che «compare», e compare solo, nella comunità, e ancora non si dà un essere comune da realizzare attraverso l’opera, per esempio l’opera del- la politica, bensi una comunità piü originaria dell’individuo e quindi dei Íegami sociali che questo istituisce. La comunità c’é quando

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Replica del relatore Devo, per economia di tempo, rispondere piuttosto per sommi eapi, precisando anzitutto che sono un fervente cultore della storia elvetica, non soltanto in seguito al matrimonio con una svizzera tedesca ma anche, e soprattutto, perché ben convinto che quella felice plurisecolare esperienza costituzionale puó ancora offrire uno specimen, o almeno validi motivi di comparazione, all’auspicata «casa comune europea», nell’intento di salvaguardare le caratteristiche migliori

europeo non esiste e quindi non si puó nemmeno concepire una costituzione europea democratica»), mi sembra che invece tutta la mia relazione abbia inteso avvalorare la generosa e inequivocabile tradizione mazziniana e di àltri che aspirarono all’Europa dei popoli, non senza collegarvi il grande ideale comune dell’umanità. È una tradizione repubblicana che risale ancora al felice esito delle lotte sociali romane, reinterpretate e rivalutate dal pensiero politico fiorentino e poi recepite dalla

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stenza può essere valutata soltanto dagli interessati, Che gli Stati si di- sgreghino o funzionino male se non sono fondati sul principio di nazio- nalità, è la conseguenza e la controprova del fatto che l’autorità sovrana dello Stato è fondata, in principio, sulla libertà deH’individuo. Naziona- lità, correttamente intesa alla luce delle premesse storiche dell’idea, si- gnifica comune sentimento e capacità di intendersi. Essa è la eondizione preliminare perché la società sia in grado

moderno, figlio del cri- stianesimo; sta, in definitiva, una qualche violazione della libertà degli individui. Nel easo italiano, si tratta del peccato originale di uno Stato sorto con l’annessione di genti che non avevano chiesto di costituirsi in uno Stato comune; la frattura originaria si è trasformata in mille con- trapposizioni apparentemente diverse (rossi e neri, nazionalisti e inter- nazionalisti, populisti e borghesi), ma sempre è rimasta l’incapacità di costruire un’organizzazione voluta

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intermonadica, poggia su un mon- do storico comune; «una comunità sociale - scrive Husserl - non è una 460

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internazionale dei diritti umani si pone allabase della cultura della liberazione.... La culturadella planeta- rietà è quindi cultura della convivialità dei membri della famiglia uma- na... La cultura della convivialità planetaria é, concretamente, esistenzi- almente, assidersi tutti alla mensa del patrimonio comune su un piede di pari dignità, La pari dignità, sempre concretamente parlando, significa condivisione di bisogni umani essenziali e il loro soddisfacimento soli- daristico, a cominciare dai bisogni

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concezione politica sono immense. Nasce la coscienza morale, perché Dio stesso è il legislatore, e quindi le norme vincolano l’individuo indipendentemente dal controllo soeiale. Viene poi acquisi- ta una nozione di umanità e di comune valore degli esseri umani, perché alla base dell’idea monoteista di un Dio creatore dell’uomo vi è anche quella degli uomini come creature di Dio. Per gli altri popoli, è una grande stranezza quella degli ebrei, di non praticare Tinfanticidio e di allevare tutti i figli

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efficienti a livello regionale e comunale» (16) ) comporta preoccupazioni crescenti nell’opinione pubblica di non pochi paesi europei. Dunque, oltre a emendare il metodo storico da qualsiasi pregiudizio ideologico, è indispensabile «riaccendere la luce chiarificatrice dei prin- cipi», come già ribadiva Giorgio La Pira (l7) , riaffermando 1 ’ inscindibilità di libertà e giustizia nell’intento fondamentale di quel «bene comune» che è «il bene della società in quanto composta di persone. Anche

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di fronte ad una istanza idealizzata. L’istanza idealizzata puó essere p.es. anche l’idea dell’umanità, cosi come è già vista in Kant dal punto di vista del fine a sé stesso di tipo morale. In effetti, tutto ció significa che la responsabilità tecnica non basta. Secondo me, «responsabilità tecnica» è un’espressione errata che è perlomeno equivocabile. Puó trattarsi soltanto della comune responsabilità orientata all’azione, o legata al ruolo, ovvero di responsabilità di tipo giuridico o morale in ambiti

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». I ministri ingannavano i loro re, saccheggiavano impunemente il tesoro. Ora, peró, pur «essendo cosi ogni ceto pieno di vizi [...], la nazione di per sé godeva di una felice prosperità [...]. I vizi dei privati contribuiva- no alla felicità pubblica. Da quando la virtú, istruita dalle malizie politi- che, aveva appreso i mille felici raggiri dell’astuzia, e da quando si era legata di amicizia col vizio, anche i piú scellerati facevano qualcosa per il bene comune» (37) . In tal modo, poiché il vizio

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»: «conoscenza reciproca degli individui e dei popoli», promozione «di un clima di col- laborazione e tolleranza», contributo all’ «unificazione dell’Europa po- nendo l’accento sulla comune cultura dei popoli europei». Una riflessione peró sulla portata generale, politiea, culturale e uma- na di un’azione «formativa» a questo livello, induce tali riflessioni ad estendersi a valori sui quali la filosofia è oggi molto sensibile. «I rappor- ti sempre piú stretti e frequenti fra popoli «diversi» ci impongono

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: la famiglia, la società civile, le organizzazioni a scopi particolari, e naturalmente le chiese. Va anche notato che Pordinamento pluralistieo di una costituzio- ne è garanzia antitotalitaria, impedisce il corto circuito tra il cittadino e lo Stato, media le esigenze e le coordina ad un fine comune. La seconda considerazione è ancor piü squisitamente speculativa e investe il rapporto tra ricerca umana e intrinseca unità del vero, tra plu- ralità metodologica e convergenza di finalità nella ricerca stessa

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