ed inseguito, a mala pena potè ridursi nella Badia di Leno, asilo, come è noto, sicuro ed inviolabile. 11 capi tano, per ordine del podestà di Brescia, Giovanni Mo~ cenigo, fece circondare di guardie la Badia, e il conte, presto o tardi, avrebbe dovuto arrendersi, se non fosse venuto in suo soccorso 1' avvogadore Francesco Pisani, il quale ordinò senz’altro che il giovane venisse libe rato e potesse, senza molestie, tornarsene donde era ve nuto. Il podestà, cui doveva esser sembrato d’aver
fatta buona presa, ubbidì certo a malincuore, e narrando poi il fatto in una lettera, diretta ai Capi del Consiglio dei Dieci, che ci è conservata, non nascose il suo malumore. « Ha- vendo io —- scrive egli il eg aprile di quell'anno — vo luto obedir per debito mio alli magistrati superiori, non dimeno mi ha parso darne reverentemente notitia a Vostre Excellentie per esser contro le parte et mente di quelle il venir et star in li lochi prohibiti dalli confini, sui lì banditi, at ciò nello advenir
, occorrendo sinici casi, ne sia fatta provisione, come parerà al sapientissimo juditio dì Vostre Excellentie, alle quali bum il mente mi racco mando » (i). Ma certamente l’avvogaclore non aveva presa una sì grave deliberazione, senza forti motivi. Alla Signoria, pure lasciando lìbero corso alla giustizia quanto alla con danna del conte, doveva rincrescere che si gravasse troppo la mano sopra il nipote di un uomo che era stato di valido aiuto alla Repubblica, e che, ad ogni modo, aveva per questa sofferto
danneggiamenti e privazioni. Nè, d’al tra parte, conveniva alla Signoria di alienarsi l’animo dei feudatari e specialmente di quelli che tenevano le loro terre ai confini dello Stato, e, forse più clic altri, del Godrone, unico della sua famiglia che stesse per Vene ti) Documenti trentini dell'Archivio di Stalo di Venezia) busta V nella Biblioteca civica di Trento.