nella Prima Guerra Mondiale, dieci mesi dopo l’inizio delle osti- litä in Europa. Chi non possedeva questi requisiti, circa trenta mila persone, aveva facoltä di optare per la cittadinanza italiana, in base all’articolo 22 del trattato di Saint Germain, con apposita domanda da presentare presso i Comuni. La gran par- te di queste persone erano impiegati, ferrovieri, insegnanti che si erano trasferiti in Sudtirolo provenienti da ogni parte dell’impero. Il diritto di opzione, come awerrä anche nel
1939, era riservato al capofamiglia ed era vincolante per moglie e figli mi- norenni. Quantunque lo Stato italiano avesse promesso di procedere con speditezza e con occhio benevolo nei confronti di chi presentava istanza di acquisizione della cittadinanza italiana, la realtä fu affatto diversa. La gran parte delle domande fu va- gliata con lentezza e alla fine, le domande respinte furono un terzo. Quasi diecimila persone vennero a trovarsi in situazione di grave disagio, soprattutto i dipendenti
pubblici, cui la cittadinanza italiana era conditio sine qua non per poter lavorare. Per molte persone, rimaste licenziate per mancanza di cittadinanza, l’unica alternativa fu quella di emigrare nel Tirolo austriaco. Al diniego delle richieste di cittadinanza sottendeva l’intenzione politica delle autoritä italiane di ridurre numericamente la minoranza sudtirolese e di espellere gli elementi politicamente scomodi per il loro attivismo sul fronte sindacale, o a causa della loro appartenenza al partito
social- democratico di cui i ferrovieri costituivano il pemo del movimento. Discriminate furono anche quelle persone che piü in generale si erano esposte durante la guerra con iniziative contro l’Italia. La categoria di lavoratori piü colpita dal rifiuto di otte- nere la cittadinanza italiana fu quella dei ferrovieri, una categoria invisa alle autoritä italiane, ma anche concorrente del Deutscher Verband, il neo movimento di matrice cattolico popolare e liberale difensore primo della causa