Secoli c secoli trascorsero, e noi, popolo nuovo, moderno, non nutricati dal latte della lupa, noi stiamo meravigliati tra le rovine. Il nostro piede incespica errabondo fra i diroccati avanzi di un gran passato, e la fantasia s’industria di ricostruire con la mano infantile dalle colonne atterrate , dai marmi spezzati, dalle pietre annerite l’antica Roma, la sede di tutti gli Dei. Noi camminiamo da stra nieri per le vie della leggenda e della storia e cerchiamo d’indovinare lo splendore
ama il raccoglimento e si piace d’interrogar la natura. Ma questa tace in profondo mistero. Non un’ aura move gli oscuri rami della solida quercia. Quotano i fiori , cangianti lucertole dalla schiena variegata corrono tra i marmorei rottami. Cornee profondamente azzurro il cielo! ma esso è vuoto e deserto, non volo d’aquila o di colomba vi dà pili un augurio. Tutto è morto, morto ! Una morte, che sarà in breve completa. Roma cadde e cade lentamente, come cadono le cose robuste , cade simile
le è estraneo. Essa manda la sua primavera, e colle rose odorate , che sparge sopra i sepolcri , colle viole e coi mirti vuol rimediare a tutto. Si, bello è il sole, il cielo, l’aria di Roma, c su questo collo solitario essi do minano pieni d’ armonia in una infinita bellezza e rinfrescano il cuore, elevano il sentimento al disopra delle rovine e dei limiti terrestri nella eternità dello spirito universale e dell’onnipossente indistruttibile suo pensiero. Così stava esso e meditava un dì, nell’ ora divina
, e studiavasi dare ardita , celeste grandezza alle forme umane - c Roma fu 1’ espressione di questo pensiero. Esso sognò poi e poetò - e Tivoli fu la sua graziosa poesia. Ma a noi non pervennero clic brani dei suoi pensieri, tavole spezzate , pergamene bruciacchiate , frammenti del canto ; queste son le ro vine, tra le quali m oriamo il piede, le rovine appiè del monte, e là, e colà, c dall’altra parte presso al lucido Tevere. Da queste rovine noi ricostruiamo il nostro mondo fantastico e ci sentiamo
fe lici nel profondo del cuore , se 1’ alito dello spirito ci riempie talora con ima dolce intuizione di lui. La mano di un dio benigno ci tocca la fronte e ci sacra a partecipare alla eternità, a vivere nei milennii passati le ore felici di una profonda contemplazione. E cotesto iddio non abita clic in Roma ; oli, sentilo, riconoscilo, apri al bello il tuo cuore caldo d’amore, ed esso non sarà per te un dio ignoto, e tu ti avvolgerai tosto e volentieri intorno al capo la benda sacerdotale, comporrai